ATAYA Manuale multilivello per adulti con bassa o nulla scolarità pregressa

Collana: Classi plurali eterogenee - African review 2008

€ 15.00

Ataya nasce dal lavoro di quattro insegnanti della Scuola di italiano della Cooperativa Ruah (www.cooperativaruah.it), che da più di vent’anni si rivolge agli immigrati adulti sul territorio bergamasco accogliendo in media 1200 studenti all’anno, insegnando un italiano autentico e concreto, organizzando percorsi di cittadinanza e uscite didattiche sul territorio.


Titolo: ATAYA Manuale multilivello per adulti con bassa o nulla scolarità pregressa


Autore: E. Aloisi - A. Perna


Anno: 2016


ISBN: 978-88-6642-226-6


Pagine: 192


Collana: Classi plurali eterogenee - African review 2008


DESCRIZIONE

Ataya nasce dal lavoro di quattro insegnanti della Scuola di italiano della Cooperativa Ruah (www.cooperativaruah.it), che da più di vent’anni si rivolge agli immigrati adulti sul territorio bergamasco accogliendo in media 1200 studenti all’anno, insegnando un italiano autentico e concreto, organizzando percorsi di cittadinanza e uscite didattiche sul territorio.
Nel 2011, per la prima volta, un centinaio di profughi vengono accolti dalla Cooperativa Ruah. Quando, poco dopo il loro inserimento, accedono alla scuola di italiano si verifica una situazione nuova, critica. I profughi finiscono sotto il riflettore, sono “diversi” dagli studenti che in tanti anni abbiamo conosciuto: arrivano in ritardo, non mostrano interesse, non imparano. Questo rende difficile la gestione dei gruppi classe e mette a disagio gli insegnanti volontari.
Nel 2014 i profughi aumentano. Arriviamo a ospitarne circa mille. L’équipe della scuola di italiano comincia a lavorare, per fornire a quest’utenza difficile una scuola di italiano interessante e motivante. Tramite interviste ai migranti e confronti con altre esperienze sul territorio italiano ed europeo, cominciamo a lavorare al progetto Ataya, partendo da alcune considerazioni.

Chi sono i profughi: ragazzi tra i 18 e i 30 anni che lasciano i loro Paesi per diverse cause: fame, problemi politici o di genere, guerre e saccheggi, disperazione. Il viaggio che hanno affrontato è tragico, lungo, faticoso, può comprendere traumi, violenze e torture. I profughi non sono esposti alla lingua italiana: dopo il riconoscimento in Questura, vengono alloggiati nei centri di accoglienza nei quali sono seguiti da operatori, traduttori e mediatori linguistici e culturali. Nella struttura di accoglienza parlano la loro lingua madre, stanno tra connazionali. Non vivono la situazione del “migrante economico” che è in Italia da solo e deve muoversi tra i servizi, gli uffici, le conoscenze… Un’estenuante attesa: Per poter entrare in Italia devono presentare domanda di asilo politico, un procedimento burocratico assai lento che li costringe ad un lungo periodo di stallo, in attesa della risposta della commissione territoriale, che facilmente sarà un no: non puoi rimanere in Italia.In queste condizioni la scuola di italiano deve essere erogata obbligatoriamente entro tempi brevissimi, appena dopo l’arrivo in struttura.

Che cosa rappresenta la scuola nell’immaginario di queste persone?

Gran parte dei profughi accolti è analfabeta o debolmente alfabetizzato. Ma abbiamo davanti persone adulte, che arrivano a conoscere anche 5 o 6 lingue, comprese quelle dei Paesi nei quali hanno soggiornato durante il viaggio di migrazione. Non hanno imparato queste lingue a scuola ma vivendo, lavorando, trovandosi obbligati a comunicare. Dunque, nel loro immaginario e nelle loro esperienze di vita, la formazione linguistica non rappresenta il canale per trovare lavoro, per integrarsi. Anzi, il nostro: “se non vieni a scuola non troverai lavoro”, se non spiegato adeguatamente, rischia di apparire come una minaccia ingiusta e falsa.

Questo è il passaggio che, nelle classi standard, gli immigrati hanno già fatto; questo è l’anello mancante nella motivazione dei profughi. Immaginiamo che poco senso può avere sedersi dietro ai banchi per un adulto non consapevole di questo valore: dover stare seduti quando quello che vorrebbero è uscire, cercare, incontrare, comunicare, come sono sempre stati abituati a fare. E sappiamo tutti che senza una vera motivazione personale la scuola, anche se è obbligatoria, non serve.
Da questa consapevolezza, e dai tanti errori fatti, come insegnanti, educatori, volontari, e facilitatori, nasce Ataya: con la speranza e il desiderio di trasmettere a queste persone l’importanza della scuola nella quale noi crediamo profondamente, e di costruire una scuola che possa essere utile anche in un futuro incerto.

Cosa prevede il progetto
Modifica dei domini di insegnamento perché la scuola sia utile alla vita quotidiana dei richiedenti asilo. Questi i macroargomenti: accoglienza, lavoro (trattato più in chiave informativa e interculturale che di ricerca, per la quale è ancora presto), cibo, telefonare (uno strumento fondamentale per chi manca da casa anche da diversi anni), descrizione di sé, salute, servizi e uffici del territorio, mezzi di trasporto, cura della casa (che affronta in parte la difficoltà del lavoro di comunità), il viaggio e racconto di sé. Abbiamo alleggerito temi sensibili come la casa o la famiglia, difficili da trattare in contesti tragici.
Utilizzo di immagini autentiche e interculturali per costruire un rapporto di fiducia e di rispetto verso l’insegnante e la cultura che essa rappresenta. Per ogni argomento trattato le immagini evocano le tradizioni culturali di altri Paesi. Questo per accogliere, tranquillizzare, stimolare al racconto di sé. E anche per confrontare, per imparare che abbiamo immaginari diversi in Italia, in Africa, in Asia. Per esempio se si parla di lavoro, abbiamo esperienza della differenza di competenze che richiedono alcuni lavori in Africa o in Asia rispetto all’Europa: in alcuni casi l’esperienza di anni in lavori come quello del muratore, dell’ingegnere, del parrucchiere non sono sufficienti per lavorare in Italia.
Impiegare la lingua madre per facilitare la memoria oltre che valorizzare le competenze per un possibile CV per l’importante lavoro del mediatore linguistico e culturale.
Apprendimento attivo per fare il più possibile (come sempre hanno fatto lavorando, viaggiando e nel frattempo imparando la lingua). Giocare, ritagliare, mimare, recitare, produrre cartelloni da appendere per facilitare la memorizzazione.
Combattere l’isolamento e dare concretezza a quanto studiato con uscite didattiche di fine unità con l’obiettivo di creare un ponte con la comunità ospitante, mettere in pratica le funzioni e il lessico studiati, presentarsi alla cittadinanza e stimolare all’utilizzo dei servizi.
Multilivello, dall’alf2 all’alf4*. Ogni esercizio prevede una parte più complessa e una più semplice rispetto alla letto-scrittura, poiché spesso capita di lavorare con gruppi disomogenei.

Il titolo
Ataya significa tè in wolof. L’origine della parola, cinese tei, rimanda alla pronuncia di tutta la zona occidentale della terra.
L’abbiamo scelta perché il tè richiede tempo: prevede una preparazione lenta e cerimoniosa, ci si prepara all’incontro.
Il tè, infatti, vuole scambio: è un momento di confronto e condivisione. Quando si beve l’Ataya ci si siede e si parla, ci si racconta. Per noi rappresenta il tempo necessario che serve per conoscere, imparare e trovare spazio nella formazione linguistica. Un tempo che non serve solo allo studente, ma è necessario anche per l’insegnante.

Abbiamo imparato che la classe che comincia non è quasi mai quella che finisce, spesso se ne vanno proprio i più bravi e molte volte senza salutare. Anche noi dobbiamo rispettare, imparare a essere flessibili, cambiare in qualche modo la nostra idea di classe sempre uguale: anche il lavoro degli insegnanti, come le vite dei loro studenti, è in bilico. E spetta all’insegnante assumersi quest’incertezza di chi non sa se potrà restare, di chi, per il momento, è in sospeso. Ma questa situazione non può frenare l’insegnante, che lavorerà come se l’Italia fosse stata scelta e fosse la scelta definitiva. Cercando di rendere il tempo passato qui un tempo proficuo, dove si è imparato qualcosa e si sono sviluppate delle competenze, utili, pur in un futuro così incerto.

Il manuale: istruzioni per l’uso

– Le consegne: possono essere scritte in stampato maiuscolo o minuscolo oppure in entrambe. La consegna in stampato maiuscolo si rivolge agli studenti più in difficoltà, che hanno nulle o minime abilità di letto scrittura (alf2). Le consegne scritte in stampato minuscolo si rivolgono a chi ha qualche competenza di letto scrittura in più (alf3 o 4). Nelle classi multilivello chi è più indietro può svolgere solo la prima parte dell’esercizio, chi lavora più velocemente svolgerà anche la seconda.

– le sezioni: in ogni unità sono presenti 5 sezioni: di cosa parliamo? è la motivazione iniziale; capiamo è la grammatica (presentata in questo libro in maniera induttiva e molto semplice e ridotta), scriviamo, leggiamo e parliamo sono le altre sezioni.

– le icone: i pronomi personali e le categorie di maschile e femminile, singolare e plurale, sono indicate con icone che ritornano durante tutto il libro.

– e nel tuo Paese? È il momento di confronto interculturale dove lo studente confronta l’Italia con il proprio Paese e quello degli altri studenti, facendo emergere, raccontando e condividendo somiglianze, differenze, eventuali difficoltà.

– le flash cards: molte delle immagini che compaiono nel manuale possono essere utilizzate come flash cards per diverse attività ludiche: si riconoscono dal contorno tratteggiato.

– l’alfabetiere: presentato nella prima unità può essere stampato e appeso in classe per rimanere una guida per chi è più in difficoltà durante tutto il percorso.

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