Tra 'l gnach e 'l pitàc divagazioni sul bergamasco
Collana: Ricerca e Storia
€ 14.50
Una raccolta di articoli che parlano del bergamasco, inteso come lingua e come persona.
Da leggere saltano qua e là per cogliere un modo di dire, ricordare un proverbio, sorprendersi per la ricchezza nascosta del nostro lessico. E mantenere viva la brasca che cova sotto la cenere della consuetudine.
Titolo: Tra 'l gnach e 'l pitàc divagazioni sul bergamasco
Autore: Ezio Foresti, illustrazioni di Emanuele Tomasi
Anno: 2019
ISBN: 978-88-6642-312-6
Pagine: 120
Collana: Ricerca e Storia
DESCRIZIONE
Una raccolta di articoli che parlano del bergamasco, inteso come lingua e come persona.
Da leggere saltano qua e là per cogliere un modo di dire, ricordare un proverbio, sorprendersi per la ricchezza nascosta del nostro lessico. E mantenere viva la brasca che cova sotto la cenere della consuetudine.
Abbiamo una lingua madre brusca, scontrosa e laconica. Le sue parole spesso tronche sanno d’infanzia, di calore e di casa. E abbiamo una lingua padre più elegante, scorrevole e levigata. Che ci ricorda la scuola, il servizio militare e il mondo del lavoro.
Siamo cresciuti così, con i suoni aspri e dolci che ci chiamavano al cibo, al sonno, allo studio. E gli altri suoni più neutri scambiati con la maestra, il commilitone e il collega. Càpita di dimenticarla, la lingua madre, di trascurarla per lungo tempo. Ma tornare a Bergamo e ricominciare a parlarla, dopo un viaggio per dovere o per piacere, è come rimettersi una vecchia e comoda tuta, calzare le pantofole e togliersi le scarpe che fanno male.
E ci sembra di poter dire più cose, e a volte dirle meglio, perché smicià, per fare un esempio, non è semplicemente sbirciare, ma è farlo di sottecchi, socchiudendo gli occhi, e la smorfia che si fa pronunciandola è la stessa che si assume nell’atto stesso. Il codeghì è molto più buono del cotechino, forse perché è nostrano, e quando dici föch ti sembra di sentirlo scoppiettare.
Per le cose che contano davvero ci bastano due sillabe, e spesso ne serve una sola. La cà, òl pà. L’essenziale per la vita è l’essenziale per la lingua. Nostra madre così ci ha educati, a pretendere poco e di quel poco farne tesoro. Nemmeno il fiato va sprecato, perché la nostra non è una terra generosa. E non importa se non coltiviamo più i campi e la miseria l’abbiamo dimenticata. Il nostro animo contadino pensa ancora a tutti gli inverni che verranno.
Ma che supereremo, come abbiamo superato tutti gli altri. Perché è nel nostro carattere, che magari non ha fiammate, ma ha la brasca. E la brasca, lo sanno tutti, non la spegni mai.